L’alluvione dello scorso autunno ha reso impraticabile la strada che porta al Lago della Rovina.

La situazione attuale ha riportato al silenzio originale l’anfiteatro che accoglie il lago.
La fauna locale ha trovato le condizioni favorevoli per riappropriarsi liberamente delle aree intorno al lago.

La mia ascesa, permanenza e conseguente discesa al punto di partenza avviene in orari completamente sfalsati rispetto ai puri amanti della montagna e quindi, arrivato alla mia meta, mi ritrovo, molto spesso, completamente solo insieme a un centinaio di stambecchi e di camosci.

Scelgo un masso con una buona visuale, deposito il mio zaino, predispongo la mia macchina fotografica e mi metto, in assoluto silenzio, ad osservare.
Passa il tempo, sembra che gli animali intorno comprendono la mia inoffensività e gradualmente ritornano alla loro vita naturale senza quasi più alcuna attenzione per la mia presenza.

Le ore seduto sul mio masso mi fanno notare gradualmente le relazioni tra i differenti componenti dei gruppi, mi fanno osservare la loro esigenza di un sano riposo pomeridiano e mi fanno sentire i loro fischi ben più possenti di quelli delle marmotte.


E’ uno spettacolo vederli salire sui ripidi fianchi delle montagne dell’anfiteatro che mi circonda.


Ancora più divertente è vederli giocare a scendere a piena velocità nei ripidi nevai.

Osservo degli animali fieri, consapevoli che dovranno essere sempre pronti a sopportare qualsiasi evento atmosferico, normalmente sfavorevole, a gestire la coesistenza con i predatori e se fortunati, potranno evitare l’incontro, normalmente nefasto, con alcuni rappresentanti del genere umano.
Questa è la vita e non solo forse per gli stambecchi.

Nel tardo pomeriggio, entrano spesso delle nuvole nel silenzioso anfiteatro accompagnate da un gelido vento proveniente dalla valle che, alla luce anche del lungo viaggio che mi aspetta per tornare a casa,  mi costringe a scendere.
Nella mia tranquilla discesa sento forte il sibilo delle marmotte, mi fermo immobile, e dopo qualche minuto le vedo saltare tra i sassi.

Sotto un paravalanghe, trovo uno stambecco isolato che mangia l’erba che cresce nelle crepe del muro di cemento. gli passo vicino, con molta calma.
Emette, contraendo la pancia, il suo tipico fischio e, affiancati, usciamo dal paravalanghe.
Con uno scatto fulmineo, abbandona la strada e con tre agili balzi, scala il versante della montagna, riguadagnando la distanza di sicurezza, ora può ricominciare a mangiare.
Ormai quasi arrivato alla macchina, compagna di tre ore di viaggio, osservo una strana sagoma.
E’ una sagoma che conosco, lascio la strada, mi sposto sull’erba, mi siedo e aspetto.
La volpe è curiosa, capisco che conosce bene gli umani e gradisce il fatto che io sono assolutamente fermo, tranquillamente seduto.
Passo del tempo in questa situazione, il tempo per me ora non è più una variabile critica che richiede una continua misurazione.
La distanza tra me e la volpe continua a variare fino a quando decide di voler assaggiare i miei scarponi!
Faccia fatica a non accarezzarla, faccio fatica a non portarmela a casa.
E’ intelligente e continua a valutare tutti i mei movimenti.

Il sole sta sparendo dietro la montagna, è il segnale che devo salutarla con molta tristezza.
La volpe mi osserva attentamente mentre percorro gli ultimi metri che mi separano dalla macchina.

Alla prossima!
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